un libro scritto in prima persona, nel senso che i principali personaggi raccontano la storia vista dal loro punto di vista.
Così che si comincia a leggere ogni singolo capitolo senza sapere chi sia, in quel momento, l’io narrante: poi, piano piano, dopo qualche riga, la nebbia si dirada e l’identità si rivela.
All’inizio pensavo che sarebbe stato meglio se l’autore avesse messo un “cappello” ad ogni capitolo con il nome del personaggio protagonista (l’io narrante) di quel momento.
Poi invece il “sistema” si è fatto intrigante e la capacità di indovinare velocemente chi fosse “quel” momentaneo protagonista è diventata parte del gioco.
Insomma, già questa capacità di coinvolgere il lettore in una atipica caccia al tesoro rende il libro particolarmente interessante.
Lo svolgimento della storia corre su due binari paralleli: un saggio storico su un particolare periodo (quello della seconda guerra mondiale) e sulle connessioni tra politica e mafia, da una parte. Una storia d’amore ed una grande saga familiare sullo sfondo di New York, dall’altra.
Quali cose siano vere nel racconto delle lotte di mafia e quali invece siano ucronica fantasia dell’autore non è dato sapere: la mescolanza (e la capacità di confondere il lettore) è perfettamente disegnata.
Alla fine anche la morale viene “ridisegnata” nel tentativo di rivelare gli aspetti positivi di un mondo brutalmente immorale.
Ma sarà il caso di non lasciarsi abbindolare da frasi come: “l’esercito americano aveva un valido alleato: la mafia. Perché Mussolini aveva giurato guerra alla mafia e per poco non riuscì a debellarla dall’Italia”.
Magari mentre i treni arrivavano in orario.
Un libro arrivato a sorpresa sotto l’albero (di Natale) e letto in soli due giorni (eppure sono 280 pagine!): a voler dimostrare che sa attanagliare il lettore nel “page turning” riservato ai libri migliori.
In attesa della prossima creazione di Giovanni Maglietta (non me lo perderò! Promesso.)
Paolo Federici
Il vento di New York
Archiviato in cultura, Libri, recensioni